psicologia umanistica

…..forse potremmo ripartire  da un progetto di una Psicologia, da un progetto di fondazione scientifica capace non soltanto di contenere i pericoli delle “macchine mostruose” di Jung,  ma anche e soprattutto di rappresentare autenticamente l`esistenza di coloro che vogliono pensare.
Occorre forse seguire, allora, un tipo di pensiero capace di ascoltare la furia delle emozioni, l`affanno degli eventi che in qualche modo incombono, la causalità degli incontri che fanno parte delle nostra esistenza e della nostra stessa vita, l`apparente caos che è disordine di ciò che capita e, prima di tutto, tutto questo che è dentro di noi.
Così, forse, potremmo restituire alla Psicologia una parte della sua autentiticità e, contemporaneamente, sottrarle una parte della sua presunta obiettività e, in definitiva, dire che se c`è un senso per la Psicologia è che questa, prima che non una Scienza, possa essere un’arte per ciascuna persona. Non ci interessa una Psicologia che sia la Scienza degli studiosi di psicologia; ci interessa, invece, una Psicologia che sia l`arte con cui ciascuno coltiva la propria esistenza…”

(Gian Piero Quaglino, 2007)


 

“… Bisognerà forse ammettere che esistono due pratiche diverse, una di tipo medico, basata su diagnosi psicopatologiche e procedure terapeutiche empiricamente supportate, l’altra di tipo umanistico, in cui il significato dei disturbi e dei modi di curarli non e’ fissato da manuali diagnostici e terapeutici, ma emerge dal contesto e dal dialogo terapeutico ”

B.Simmons


 

L’  A.C.P.

Per lApproccio Centrato sulla Persona il terapeuta, colui che facilita il cambiamento, rappresenta uno “specchio” lucido e più regolare possibile, in cui la persona che chiede aiuto può ritrovarsi, riconoscersi e avviare quel processo di appropriazione di sé e delle proprie potenzialità. Il disagio, per questo approccio, non è il vero problema, ma piuttosto il tentativo “più sano possibile” che fa la natura umana per superare i propri squilibri quando, non aiutata dalle condizioni esterne, non riesce a percepirsi integralmente. La relazione restituisce questa percezione col rispecchiamento nella figura rispettosa, empatica e autentica di chi ascolta. In tal senso il facilitatore è soprattutto catalizzatore, “levatrice” del processo e non determinatore. Perché ciò sia possibile, perché lo specchio sia fedele e non deformante, è bene che il facilitatore sia… facilitante innanzitutto con se stesso e che abbia a cuore la conoscenza di sé, il riconoscimento sereno dei propri bisogni e dei propri  sentimenti, l’ascolto fiducioso e libero della propria esperienza di essere umano. Solo così  può diventare “terapeutico”…

La Psicologia Umanistica trae le sue origini dalla cultura nord-americana degli anni 30 e 40 in cui alle tradizioni “autoctone” si mescolano le istanze di derivazione europea dovute alla emigrazione di intellettuali ebrei e antinazisti. Al Convegno del Minnesota del 1940 ne fu concepito il manifesto e numerosi autori con orientamenti diversi tra i quali G.Allport, K.Lewin, C.Bùhler, F.Perls, C.Rogers vi entrarono a far parte. L’Umanesimo in psicologia, così definito da Mastropaolo (2005), trovò successivamente tra gli anni 40 e gli anni 60 la sua espressione concreta nella fondazione della terza forza di Maslow.

Prese forma così un movimento di pensiero che avvertiva come sempre più riduttivi ed insufficienti a spiegare la realtà umana le teorie deterministiche e pessimistiche del comportamentismo e della psicoanalisi che restò pur tuttavia una grande matrice dalla quale Fromm, Horney e Rank, ad esempio, attinsero concetti e teorie che elaborarono compiutamente producendo ricerche fortemente connotate dai valori dell’umanesimo.

Le teorie umanistiche pongono l’accento sul “divenire” dell’individuo e sostengono che questo divenire è retto da forze interiori dirette ad uno scopo; questo è precisato nell’ideale dell’integrazione, unificazione della condotta in una struttura organica coerente.

Di questa nuova visione dell’individuo, dei rapporti interpersonali e sociali si possono ricordare, sinteticamente alcune componenti significative:

  • L’importanza attribuita all’individuo, percepito come essere globale, unico ed irripetibile.
  • La funzione centrale della consapevolezza, in quanto qualità non esclusivamente intellettuale, ma anche radicata nell’esperienza emotiva.
  • Il concetto di esperienza come processo attivo e continuo in cui l’organismo è coinvolto, e rispetto al quale la proiezione verso il futuro appare più importante di quanto non sia la registrazione del passato.
  • La convinzione del fatto che il carattere dinamico e interattivo della vita psichica implica che il comportamento non è determinato in modo biologicamente o socialmente meccanicistico.
  • La fiducia nella democrazia come schema di vita comune, aperta alla realizzazione di forme sempre più umane di esistenza;
  • L’aspirazione all’armonizzazione con l’Universo, inteso come totalità dei rapporti possibili con la Natura e con gli altri uomini.

Questa nuova corrente di pensiero fu fortemente influenzata da una parte significativa di intellettuali europei che contribuì a modificare in maniera determinante l’ambiente culturale americano suscitando un immediato interesse verso i nuovi fermenti, in particolare quelli in ambito gestaltico e fenomenologico-esistenziale.

Nei primi tempi tuttavia la Psicologia Umanistica ebbe maggiore rilievo in quanto affermazione di un nuovo modo di fare terapia cui potevano contribuire professionisti e studiosi di varie provenienze accomunati dallo stesso senso di rinnovamento della pratica psicoterapeutica, che come nuovo paradigma o modello prettamente teorico. Fu C. Rogers al Convegno del Minnesota del 1940 a proporre con il suo intervento ciò che in seguito si afferma come manifesto della nuova corrente. Essa si riconoscerà nel 1962 nell’Associazione di Psicologia Umanistica cresciuta parallelamente tra le tradizioni dominanti della psicoanalisi, del comportamentismo e in seguito della psicologia cognitiva con impeccabili credenziali filosofiche, epistemiche e cliniche.

Tentando di delineare, in sintesi, le caratteristiche dell’approccio umanistico, ci troviamo di fronte ad alcune opzioni generali, circa il metodo e il contenuto della Psicologia:

a)  In primo luogo gli “umanisti” decidono di fare oggetto principale della loro indagine l’ “uomo sano” (Maslow). Attendendo a ciò che è tipicamente umano e maturo nell’uomo considerano come provvisorio e non definitivamente rilevante ciò che proviene dalla ricerca su animali (su cui principalmente poggiava il comportamentismo) o dall’esperienza con casi patologici (su cui è , ad esempio, costruita la psicoanalisi):

b)  Tra le caratteristiche tipicamente umane si considera come centrale la capacità di conoscere se stessi e la realtà. Essi ritengono che l’uomo sano non sia guidato da impulsi ciechi, ma da “intenzioni”, ossia da motivi destati nell’uomo dalla percezione della realtà. Tale percezione rivela alla persona che la realtà è in fondamentale consonanza con essa e le prospetta così possibilità di sviluppo e realizzazione che diventano scopi della sua condotta. Si parla in questo senso di una teoria cognitiva della motivazione;

c) Poichè la persona sana possiede intenzioni, essa è anche governata più dagli scopi futuri che dai traumi passati, più dal “bene”da raggiungere che dagli impulsi ciechi da calmare. La Psicologia Umanistica ha perciò una concezione proattiva della personalità.

La persona così è vista come principale sorgente della sua condotta, come attiva, dotata di iniziativa originale e non come prodotto, più o meno passivo, degli impulsi impersonali o dell’ambiente. Alla base di quest’attività originale è la capacità di elaborare in modo autonomo le conoscenze, formando sistemi significativi da cui emergono le intenzioni generali. Alcuni Autori, (May, G.Allport, Thomae, W.Stern) ammettono anche una tensione innata verso realizzazioni sempre maggiori o una tendenza attualizzante  (Rogers),non impulsiva né reattiva,concepita come una ricerca innata di compresione e  di equilibrio.

Questa tendenza all’autorealizzazione era stata individuata ed evidenziata fin dal 1939 dal neuropatologo K. Goldstein che l’aveva giustamente contrapposta al concetto di eliminazione d’ogni tensione (omeostasi) considerato dalla psicoanalisi (sulle orme della fisica positivista) il principio sottostante alla vita di ogni organismo ,compreso quello umano (De Marchi, 2006). A sua volta A.Maslow aveva posto questa tendenza all’autorealizzazione al centro della sua opera (1954), scritta dopo il ripudio dei determinismi ambientali e istintuali di stampo freudiano. Lo stesso Carl Rogers (1951) pur adottando lo stesso concetto di autorealizzazione quale obiettivo esistenziale dell’essere umano ne aveva sottolineato non solo il suo aspetto processuale (la crescita) ma anche come tendenza formativa operante in tutto il vivente.

Ad un livello individuale, dunque, la tendenza attualizzante di Rogers è una tendenza innata degli individui a svilupparsi formando delle strutture di vita più differenziate e integrate. Ciò non vuol dire che le persone siano fondamentalmente “buone”. Shlien e Levant (1984) ad esempio, fanno notare che “fondamentalmente siamo sia buoni, sia cattivi. ciò che si suppone di base è il potenziale al cambiamento”. Masten, Best e Garmazy, 1990), basando la loro ricerca sui bambini che crescono e sopravvivono in circostanze difficili, suggeriscono che “gli studi sulla capacità di recupero psicosociale sostengono la visione che lo sviluppo psicologico umano è ben protetto dai paracolpi e che vi è la capacità di tornare in equilibrio”.

Sebastiano CIAVIRELLA, psicologo-psicoterapeuta rogersiano,già professore a.c. di Storia della Psicologia, CdL in Scienze e Tec. Psicologiche,Università LUMSA,Roma